Il look da Vallanzasca balcanico non ha sortito gli effetti sperati ieri sera a Sofia, e alle 10.30 ero già in stanza a studiare il tragitto di oggi. E lì ho avuto il mio primo momento di scoramento.
Diciamo le cose come stanno: io non sono un vero ciclista, perché i veri ciclisti il viaggio lo pianificano in ogni dettaglio, calcolando tutte le tappe sulla base della distanza, del dislivello, della bellezza del percorso ecc. La mia pianificazione invece è consistita nel calcolare la distanza da milano a Istanbul su google map, nell’aggiungerci forfettariamente 400 km (visto che google map calcola soltanto le distanze autostradali) e nel dividere la somma per il numero di giorni a mia disposizione. Questa rapida operazione, effettuata durante una pausa caffè al lavoro, ha dato come risultato 130km. Perfetto: basterà avanzare di 130km ogni giorno in direzione sud est e sbucherò a Istanbul, pensavo. E così ho proceduto, studiando il percorso giorno per giorno senza tenere in minima considerazione le tappe successive.
A Sofia, ieri sera, la mia approssimazione e superficialità mi hanno presentato il conto. Soltanto ieri ho scoperto che in uscita da Sofia, in direzione sud est, c’è una catena montuosa invalicabile in bici se non si conosce la via di uscita tra le valli. Ho smanettato su internet per ore nel tentativo di scoprire quale fosse il percorso tra le valli. Ma niente, nessun risultato. All’una sono sceso a chiedere consiglio alla concierge dell’albergo: ma anche quello è stato inutile. Soltanto un ciclista con conoscenza del territorio avrebbe potuto essere d’aiuto. Tutti gli altri conoscono semplicemente l’autostrada.
Secondo google map c’era soltanto una strada che andava nella direzione giusta. Ma con un dislivello impensabile: circa 5000mt. Ma non avevo alternative: l’indomani avrei comunque provato quel percorso nella speranza che il dislivello riportato su internet non fosse corretto. Avevo a priori scartato la possibilità di agirare la catena montuosa ad ovest perché avrei allungato il viaggio di tre giorni.
E così stamattina mi sono alzato presto, ho fatto colazione e rifornimento per la giornata e ho cominciato a fare strada.
Dopo un’ora circa ero già fuori Sofia e dopo un paio d’ore avevo già trovato la malefica strada. All’inizio era soltanto un po’ dissestata ma niente di drammatico. Dopo circa 30km è diventata una strada bianca. Al 40esimo km, ho incontrato una salita del 24% che mi ha costretto a smontare dalla bici e a salire spingendo. A quel punto ho capito che non era cosa, e sono tornato sui miei passi fino al primo villaggio.
Nella piazzetta centrale c’erano due poliziotti e un paio di manovali occupati a riparare il manto stradale. Mi sono avvicinato e ho chiesto indicazioni su come arrivare a Plodvid. I quattro hanno cominciato a discutere tra di loro scuotendo la testa e lasciandomi poche speranze. Poi uno dei due poliziotti si è battuto la mano sulla fronte e ha pronunciato una frase che comprendeva la parola “Soluzzia!!!”.
“Soluzzia?” ripeto io raggiante.
E lui: “Soluzzia! Soluzzia!”. E poi mi indica il viadotto che corre a qualche km di distanza da noi: “AUTOBAHN!!”
“Autostrada???” faccio io.
E gli altri tre all’unisono: “autobahn???”, come a dire “ma sei scemo?”.
“Da! Autobahn. Ok! No problem” mi dice facendo spallucce.
“But can I go with the bike?”
“No, no bike no go on autobahn” mi dice facendo no con l’indice. “But we no see you” e si mette la mano sugli occhi.
Ma questo è bulgaro o napoletano, penso tra me e me.
“But” aggiunge “big tunnel on autobahn. You know tunnel?”
“Yes, yes I know tunnel”
E poi, non trovando e parole in inglese, unisce pollice contro pollice e indice contro indice e stende le braccia in avanti.
Ma proprio ora questo si vuol mettere a parlare di figa? e con me poi. La mente vacilla ancora qualche secondo e finalmente capisco che non sta mimando il gesto universale della figa, ma il triangolo stradale.
“ahhhh, the tunnel is dangerous?”
“Yes, very very danger!”. E gli altri tre in coro: “very danger!”.
“You no light?” dice l’altro poliziotto guardando con schifo la mia bici. Io ricambio lanciando uno sguardo sprezzante alla loro Zastava 750.
“No light big problem for tunnel”
“hmmmm”, tutti e 5 rimuginiamo sul da farsi.
Ed è a quel punto che succede quello che per me ha dell’incredibile: uno dei due operai si toglie il sudatissimo gilet arancione con i catarifrangenti e me lo porge, tirando su la mano sinistra in segno di stop e girando la faccia dall’altra parte come a dire “insisto, te lo regalo, non fare complimenti”.
Io accetto il dono con sincera commozione e un po’ di schifo e faccio un piccolo siparietto indossandolo subito mentre tutti e 4 annuiscono con il pollice alzato. Ed è così, che grazie al gilet con i catarifrangenti, sono sopravvissuto a 130km di autostrada e alla temutissima galleria. Riuscendo anche oggi, per puro culo, ad arrivare alla meta. Seguiranno foto del gilet e video girati negli autogrill dell’A1 bulgara.
Ps per i Paoli: certo che se mi mandaste un video di incoraggiamento di 15 secondi su whatsup mi rendereste l’uomo più felice dei Balcani. A voi vengono sempre così bene!!! Poi vi pubblico però.
Per curiosita’: hai fatto la coda al casello?
Ti vorrei ricordare questa conversazione avuta solo qualche giorno prima della tua partenza:
“Dario, ma ci sono molti passi sul percorso?”
“Nah…tutto piatto.”
“Ma sei sicuro? Mi sembra molto strano…hai controllato?”
“E che palle…se ti dico di no, e’ no!”
Consiglio: informati su quanto costa lo Slavo Telepass, secondo me ti servira’…
Finalmente riesco a leggere il
Blog dopo giorni di cazzeggio brasilero.. Sei davvero un uomo dalle mille risorse. Vorrei il gilet da conservare come la sacra sindone.
L’episodio, che per fortuna ha avuto lieto fine, evidenzia 2 aspetti importanti del viaggio.
Il primo è legato al “pressapochismo” indotto dalla tecnologia: Ormai del percorso siamo soliti concentrarci solo su partenza ed arrivo, senza curarci di ciò che sta “in mezzo” (tanto c’è il TOM TOM!).
La seconda, se vogliamo più profonda, è che quando la tecnologia manca torniamo ad essere “uomini”, tutti uguali, ed in quel preciso momento scatta la solidarietà, quell’ empatia tra individui che supera i limiti legati alla lingua o allo stato sociale (immagino le risate che avresti provocato se, “conciato” come sei, avessi detto all’ uomo del giubbotto che eri un “famoso avvocato di un noto studio legale internazionale”) e ci riporta “sulla terra”, una volta tanto facenti parte anche noi della Natura: Quella “Natura” che, prima ti umilia con l’invalicabilità di una catena montuosa, poi ti “concede” la via d’uscita, in un processo catartico che ci libera dei tanti “pesi” della nostra società, cosiddetta “civile”.
….A questo punto manca solo la benedizone “Urbi et Orbi”… 🙂
p.s. Ma quante banane hai mangiato per superare quel “maledetto 24%” di pendenza?
Perché? Secondo te l’ho superata? Ma figurati…. Sono subito tornato indietro…
Ah, ok.
Poi mi farai vedere di quale strada si tratta, andando a vedere la piantina su Google Map sembra ce ne siano almeno 2! (come fa le cose facili “la tecnologia”!!).
Buon proseguimento e complimenti ancora per il bellissimo blog!
I paoli oggi dovevano girare support video da psili amnos ma la nota film maker rejna ci ha mollato per un massaggio di una ora e mezza!
Ma cosa è what’s up? Siamo belli ignoranti eh?
I paoli sono forti sui brocardi latini ma la cosa più tecnologica che sanno usare è il minipimer…